L'opinione di ....Luigi Manoli.

Dicembre 11, 2014 2417

Non sono solito utilizzare questo strumento di comunicazione mediatica per quelle che ai più potrebbero apparire tediose tematiche che sarebbe più opportuno affrontare nelle sedi deputate e cioè nei pomposi convegni che i tecnici della materia appositamente organizzano.
Ma se ciò faccio è per denunziare lo sforzo che quotidianamente noi operatori del diritto siamo costretti a compiere per evitare d’incappare in errori del tutto formali che però hanno la potenzialità di pregiudicare l’accertamento della verità sostanziale e, quindi, portano ad una pronuncia giurisdizionale che si pone in contrasto con il comune sentimento di giustizia.
Sono convinto che le società che permettono all’azzeccagarbugli di turno di procurare un vantaggio al proprio assistito a discapito di una ragione avversa che avrebbe dovuto imporsi nel merito, siano società profondamente antidemocratiche ed autoritarie.
Parimenti, antidemocratici ed autoritari sono, a mio avviso, quegli ordinamenti in cui l’accesso alla giustizia è oltremodo costoso anche attraverso l’imposizione fiscale ovvero mediante l’imposizione di una geografia giudiziaria che di fatto pone il cittadino nella condizione di rinunciare al proprio diritto.
Tornando al formalismo, le recenti modifiche legislative che riguardano il sistema delle impugnazioni civili (appello e ricorso in cassazione) danno la misura di come il nostro ordinamento, limitando se non addirittura vietando il controllo della motivazione circa un punto decisivo della motivazione (ricorso in cassazione) od imponendo una tecnica compilativa estremamente farraginosa e poco chiara che non ha più come base l’indicazione dei motivi di appello, veda l’impugnazione come un fastidio di cui bisogna in qualsiasi modo liberarsi.
Perché oggi, questo è quel che io ricavo da queste novelle, il modo con cui il nostro Stato vuol rendere giustizia è quello di negarla.
Negare la giustizia: questo è il mezzo con cui si intende deflazionare il sistema giudiziario!
E’ come dire: i soldi non bastano più per le esigenze della famiglia, eliminiamo qualche figlio di troppo.


E tutto, però, passa inosservato, nessuno osa ribellarsi.
Propongo, di seguito, le conclusioni tratte dal convegno “Il giusto e l'utile. L’efficienza e la crisi del diritto al processo (Altalex, 7 ottobre 2013. Articolo di Giulio Borella, Giudice presso il Tribunale di Cremona)
Conclusioni - Il giusto e l’utile
L’effettività dell’accesso dei cittadini alla giustizia, prerogativa dello stato di diritto, non è insidiata solo da iniziative, spesso inconsapevoli, del legislatore, anche se sicuramente questi dispone delle armi più affilate.
I pericoli possono provenire da tutti i soggetti, pubblici o privati, che operano attivamente nel processo, all’interno del quale quel diritto e il diritto vive, si concretizza e si compie.
Tutto ciò che impedisce al processo di accertare compiutamente i fatti, di pervenire alla decisione, di dare all’istante una risposta nel merito, adeguatamente motivata, non solo si pone in contrasto con il diritto di accesso alla giustizia, ma rischia anche di far imboccare all’ordinamento una pericolosa deriva autoritaria, allontanandolo dai necessari connotati di democraticità.
Un rischio che torna ad essere impellente oggi, dove le esigenze dell’economia – in particolare l’efficienza e la velocità - bussano impellenti alle porte di tutti i settori dell’esperienza umana e alle quali paiono volersi (o doversi) piegare anche i pubblici poteri.
Spetterà agli operatori del diritto, siano essi magistrati, avvocati, funzionari, ecc., mantenere alta la guardia, facendo appello al proprio senso di responsabilità, di professionalità e del dovere, affinché non venga infranto il necessario equilibrio tra il giusto e l’utile.

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